Nota del Presidente Confesercenti Toscana Nico Gronchi
In queste settimane stanno entrando a regime tutte una serie di novità fiscali davvero importanti per le PMI, dalla fatturazione elettronica all’invio telematico dei corrispettivi, dal pacchetto di semplificazioni all’anagrafe tributaria, ma soprattutto le novità per gli Studi di Settore.
Questi ultimi in particolare, nascono nel 1998 con l’obiettivo di misurare “l’attendibilità” fiscale di intere categorie e con il tempo sono stati inseriti la congruità, la normalità economica o altri indici, che li hanno trasformati nell’ennesimo strumento di accertamento.
Oggi sono applicati 204 studi di settore (dovrebbero diventare 50 nel 2016) che ricomprendono tutte le attività economiche per oltre 3,6 milioni di contribuenti a fronte di circa 5 milioni di partite IVA esistenti in Italia.
Questi i dati dell’Agenzia delle Entrate relativi agli Studi del Commercio 2012/2014 :
- Posizioni “calcolabili” diminuite di 29.167 unità
- Ricavi dichiarati dai soggetti “congrui” – 39 mln
- Posizione congrue – 8%
- Soggetti che hanno proceduto all’adeguamento -7%
- Soggetti non congrui e non adeguati passati dal 21% al 28%
E’ tutto un segno meno e dobbiamo ammettere che la crisi è stata più veloce degli aggiustamenti o dei correttivi proposti e i dati dell’Agenzia delle Entrate lo dimostrano.
E’ evidente quindi che lo strumento è datato e probabilmente superato dagli eventi, per questo crediamo che ci sia bisogno di una vera riforma. Ad oggi, non esiste ancora alcun intervento normativo sul tema e diventa quindi indispensabile un intervento politico.
Riteniamo sia giunta l’ora di cambiare passo e di abbandonare completamente l’utilizzo dello studio come strumento di accertamento, per valorizzarne le potenzialità come elemento di “compliance” tra Imprese e Amministrazione Finanziaria.
Proprio su quanto riusciremo a costruire un rapporto “sano” con il Fisco, ci giocheremo la scommessa per la ripartenza, perché le imprese ormai vivono il fisco come una specie di masso legato al collo e la somma di tasse locali e nazionali sta diventando il nostro peggior nemico.
In Toscana, come in molte altre Regioni Italiane, il Total Tax rate si aggira intorno al 60% ed è del tutto inutile ragionare della necessità di rilanciare l’economia e i consumi o di favorire la ripresa dell’occupazione, se non con forti interventi di semplificazione e magari di riduzione della pressione fiscale.
E’ proprio la questione occupazione che ci preoccupa, perché tasse, lavoro e investimenti sono tutti aspetti della stessa medaglia: per investire e assumere occorre che le imprese siano competitive e con un “socio” che si porta via più della metà è difficile esserlo.
In particolare in Toscana dal 2011 al 2015, su quasi 1,6 mln di lavoratori, gli unici settori cresciuti sono servizi e commercio, che insieme crescono di oltre 100 mila unità; segno che i nostri mondi hanno avuto la forza di mantenere occupazione anche in situazioni di crisi pesantissima ma per continuare a farlo c’è bisogno che su tasse e semplificazioni si agisca subito e bene.